title>OCARON Supereroe

OCARON

STORIA DI IN SUPER EROE


Ocarón entrò a far parte del bizzarro universo dei supereroi nel 2004. Era da tempo che alla società Ocagiuliva si pensava di creare un supereroe un po’ sfigato e senza superpoteri che, invece di salvare il mondo, partecipasse al Carnevale di Persiceto come maschera singola. Così, ad una cena, si presentarono Alberto Bellei e Gianluca Molon con il disegno di come avrebbe potuto essere il personaggio: becco, mantello, stivali, marsupio e tutto il resto. Il nome nacque subito dopo. Si unì Oca, il simbolo della società d’origine, con il suffisso “ón” che scimmiottava il nome di alcune mascherate storiche di San Giovanni in Persiceto come Santón, Baletón e Marcón. Con tanti soci, come fare a decidere l’interprete della mascherata? Venne allora l’idea di estrarre a sorte il fortunato che avrebbe indossato lo sgargiante mantello blu. Qualche giorno prima del Carnevale, i soci della società Ocagiuliva si trovarono una sera in capannone ad ascoltare le regole per diventare supereroe. Prima di tutto venne spiegato lo Spillo, poi vennero date le istruzioni operative. Il kit del costume era costituito da una valigetta che conteneva due tutine e due paia di stivali di diverse misure, passamontagna con becco, guanti, mantello, occhiali e marsupio pieno di oggetti improbabili tra cui una sim card per comunicare via sms in caso di necessità senza rivelare la propria identità. Il kit sarebbe stato riposto dagli ideatori in un luogo del capannone del Mascellaro dove Ocarón, nottetempo, avrebbe potuto recuperarlo. Il compito del nuovo supereroe sarebbe stato quello di celare la sua identità ad ogni costo e di farsi trovare pronto al momento dello Spillo per poi fuggire e non mostrarsi mai più. A portare in piazza il triciclo di ordinanza e gli attrezzi necessari avrebbe pensato la società mentre, per ogni evenienza, era stato nominato un garante, Sergio il trattorista, che avrebbe fornito il supporto logistico. Simona, moglie di Sergio, avrebbe aiutato il supereroe a travestirsi nei locali del bar Centrale. Non restava che preparare il sorteggio. Furono preparati tanti biglietti con la scritta “Che sfiga, non sei Ocarón” e uno solo invece che recitava “Che culo, tu sei Ocarón”. Tra coloro che avevano deciso di mettersi in gioco c’era una giovane ragazza, allora quasi sconosciuta agli altri soci, che da poco, grazie ad Andrea Cortesi, aveva cominciato a frequentare il cantiere dell’Ocagiuliva. «Dal momento che al sorteggio partecipano in tanti» – si disse Valentina Ballotta – «vuoi che proprio io abbia la sfiga di beccare Ocarón?». E così andò tranquillamente in bagno per aprire il suo biglietto lontana da occhi indiscreti. «Quando lo aprii mi si gelò il sangue, c’era proprio scritto: “Che culo tu sei Ocarón”. Lo lessi due o tre volte poi cominciai a pensare a come comportarmi. Uscii dal bagno e mi rimisi a dipingere ostentando una tranquillità che non avevo. Andrea Cortesi mi aveva insegnato bene a recitare e quindi nessuno si accorse della mia agitazione. Lasciai passare un po’ di tempo e poi feci un cenno a Sergio. Lui capì di che si trattava e mi disse, per non destare sospetti, di farmi trovare dopo dieci minuti al piano di sopra. In quel po’ di tempo pensai che non era bello che io, novellina, portassi via il divertimento agli altri soci che tanto ci tenevano a fare Ocarón. Erano così gasati! Così, quando raggiunsi Sergio al secondo piano, espressi tutti i miei dubbi di ultima arrivata. Lui però li scacciò subito dicendomi: “Sei stata sorteggiata, se te la senti Ocarón sei tu”. Allora accettai. Il giorno dopo chiamai Andrea Cortesi perché avevo bisogno che mi facesse da spalla; fu bravo a mantenere il segreto! Mi organizzai per il recupero del kit e, nottetempo, andai al capannone per prelevare la valigetta. Per dimostrare che Ocarón esisteva davvero preparai un biglietto, utilizzando lettere ritagliate da un giornale, che lasciai al posto della valigetta. Il biglietto diceva: “Ocarón ci sarà!”. In quel momento non immaginavo che scalpore avrebbe destato il mio messaggio! Fu analizzato in ogni sua parte. In molti si chiedevano chi potesse essere stato così cervellotico da pensare a una cosa del genere. Cercavano addirittura di capire da quale giornale fosse stato ritagliato per risalire ai gusti dell’autore. Fui fortunata perché avevo usato lettere prelevate dall’Unità che nessuno riconobbe; forse ero l’unica in società che leggeva quel giornale! Alberto Bellei e Gianluca Molon erano i più agguerriti. Una sera mi interrogarono chiedendomi se ero Ocarón. Io però mi comportai da perfetta professionista del gioco e feci una faccia di marmo che li convinse senza alcun dubbio che io non c’entravo. Non me lo chiesero più. Rimaneva da risolvere il problema dell’organizzazione della giornata. Dovevo trovare il modo di far pensare che Ocarón non fossi io. Decisi così di andare in tribuna. Era il primo anno che frequentavo l’Ocagiuliva e questo non destò alcun sospetto. Mi misi poi d’accordo con alcuni amici che mi assicurarono, involontariamente, la copertura; per completare il tutto dissi loro che sarei arrivata in ritardo. Procurato l’alibi ero pronta a diventare Ocarón. Prima di tutto volevo nascondere il fatto di essere una donna. Così mi procurai dell’imbottitura per allargare braccia, gambe e pancia e poi davanti allo specchio iniziai a provare a camminare come un uomo. Imparai abbastanza bene anche se, durante lo Spillo, mi trovai a fare alcuni movimenti istintivi che rivelarono che ero una donna. Ma tutto sommato solo i più attenti se ne accorsero. Quando fu il momento di andare al bar Centrale per indossare il costume ebbi il mio secondo colpo di fortuna. Magari non tutti i soci dell’Ocagiuliva sarebbero d’accordo, ma il fatto che si fosse rotto un meccanismo del carro durante il corso, fu per me un fatto positivo. In questo modo nessuno badò a me quando entrai al bar e soprattutto quando ne uscii vestita da Ocarón. Mancava ancora un po’ di tempo al mio ingresso e cominciai a camminare nei dintorni della piazza. Mi faceva una grande impressione il fatto che io vedessi e riconoscessi gli amici ma che nessuno di loro sapesse che il supereroe ero io! Riuscii anche a comportarmi come un uomo e pure a stare in silenzio, cosa normalmente difficile per me. Ma ci riuscii. I soci dell’Ocagiuliva che incrociavo avevano il pensiero di riparare il guasto e non badarono a me come invece avrebbero fatto se il carro non avesse avuto problemi. Quasi nessuno di loro era quindi presente in piazza quando entrai per lo Spillo e fu un ulteriore vantaggio per mantenere l’anonimato. Mi concentrai sul triciclo. Non l’avevo mai visto prima e non sapevo se sarei stata capace di utilizzarlo sulla piazza appena pavimentata. Ma era fatto bene e quindi non ebbi problemi. Lo Spillo prevedeva una corsa in tribuna per cercare Chiara Briganti che mi doveva dare la statua di un nanetto da giardino. Ero terrorizzata dalla piazza e così girai a lungo a vuoto. Molti pensavano che fosse una sceneggiata, in realtà non riuscivo proprio a trovare Chiara. Ad un certo punto mi appoggiai al parapetto della tribuna e finalmente la vidi. Corsi come un razzo su per la scala, presi il nanetto, lo alzai al cielo e poi lo scaraventai in piazza. Era da poco terminata la pavimentazione e avevo timore di rovinarla, ma lo gettai ugualmente. Poi ripresi il triciclo e uscii; corsi attorno alla piazza e andai di nuovo al bar Centrale dove mi tolsi i panni di Ocarón. Mi rivestii e salii in tribuna. Un’amica guardò perplessa il segno che il becco mi aveva lasciato in fronte e del quale non mi ero accorta e disse: “Ma non è che eri tu Ocarón?” Io, con la mia solita imperturbabilità, negai. Non so se mi credette oppure no, ma non me lo chiese più. Alla sera, durante la cena in capannone, mi divertii come una matta perché sapevo che tutti volevano svelare l’identità segreta di Ocarón. Tutti guardarono più volte il replay dello Spillo per cercare di capire chi fosse, ma nessuno ci riuscì. Qualcuno avanzò l’ipotesi che Ocarón fosse una donna e qualcuno sospettava anche di Maurizio Caretti. Alla prima occasione riportai il costume dove l’avevo trovato. La domenica delle premiazioni lo indossò qualcun altro ma nessuno aveva ancora capito che il vero Ocarón ero io. Fu ad una cena che finalmente svelai il mio segreto. Non dimenticherò mai la faccia di Gianluca Molon quando disse: “Ci avevi detto che non eri tu e ti abbiamo creduto! Che allocchi siamo stati! Dopo questa mi puoi raccontare qualsiasi cosa!”. Fu un’esperienza bellissima, mi sono divertita un sacco. Da allora partecipo sempre al sorteggio ma non ho più trovato il biglietto fortunato.»

Valentina Ballotta - Paolo Balbarini


Il mantello di Ocaron è ormai storia, i cui nomi sono ricamati sulle spalle del mantlo blu:

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